“In testamentis plenius voluntates testantium interpretantur”
L’interpretazione dei testamenti deve ricercare la perfetta volontà dei testatori.
In materia successoria gli antichi brocardi sono sempre attuali e confermano come questa “branca” del diritto civile sia una delle più stabili esistenti, forse perché inalterate nei secoli rimangono le esigenze che la normativa successoria deve tutelare e un’immutata percezione dei vincoli familiari.
L’ennesima conferma viene da una recente pronuncia del Tribunale di Roma (Sentenza n. 9990/2023 pubbl. il 22/06/2023) che, accogliendo le eccezioni dei difensori dei convenuti (tra cui lo scrivente Studio Legale) ha accertato la natura di disposizione di legato anziché di disposizione ereditaria (“institutio ex re certa”, disciplinata dall’art. 588 c.c. comma 2° che testualmente dispone: L’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quanto risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio, secondo la tesi attorea) e conseguentemente ha rigettato la domanda attorea per difetto di legittimazione passiva dei convenuti.
Le peculiarità della vicenda sottostante e della sentenza sono varie e tali da renderla degna di divulgazione per la pubblica informazione oltre che interessante per gli operatori giuridici.
Sotto il primo profilo, rileva che ad agire per ottenere la riduzione del prezzo di acquisto di un immobile acquistato da un esecutore testamentario sia stato lo stesso notaio che aveva redatto e pubblicato il testamento pubblico della defunta proprietaria. Infatti, dopo avere designato un esecutore testamentario, la testatrice attribuiva a 4 distinte istituzioni religiose o caritatevoli il ricavato della vendita di gran parte degli immobili del suo patrimonio. Per chiarezza espositiva se ne riporta il tenore:
Dispongo che il mio esecutore testamentario, alla mia morte debba procedere alla vendita di tutte le mie proprietà immobiliari, fatta unicamente eccezione per l’appartamento ed il terreno in Comune di XXX, di cui al legato nel prosieguo del presente testamento.
Il ricavato delle vendite, al netto del pagamento delle tasse ed ogni altra spesa sostenuta dall’ esecutore testamentario nell’espletamento del suo ufficio, dovrà essere ripartito in quote eguali tra le seguenti associazioni ed istituti: ALPHA, BETA, GAMMA, DELTA, …
Il Tribunale di Roma interpretando le disposizioni testamentarie è quindi giunto alla conclusione che le convenute associazioni ed istituti non fossero stati costituiti eredi ma semplici legatari. Per giungere a questa conclusione ha dapprima ricordato che “l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale, ove il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli ed individuati beni” (cfr. Cass. 23563/2019), e ancora “è pacifico in giurisprudenza che è fondamentale ricostruire l’effettiva volontà del testatore, sulla base di quanto desumibile, alla stregua delle regole ermeneutiche di cui all’art. 1362 c.c., adattate alle peculiarità della materia testamentaria (cfr. Cass. 24637/2010; Cass. 10882/2018). Dunque l’interpretazione del testamento, secondo le generali regole di ermeneutica contrattuale nei limiti della compatibilità, è caratterizzata da una più penetrante ricerca della volontà del testatore, che, alla luce dell’art. 1362 c.c., va individuata con riferimento ad elementi intrinseci alla scheda testamentaria, SULLA BASE DELL’ESAME GLOBALE DELLA SCHEDA stessa e non di ciascuna singola disposizione”. Eccezionalmente, qualora dal testo dell’atto dovessero permanere dei dubbi e vi sia certezza sull’effettiva intenzione del de cuius, si può fare ricorso ad elementi estrinseci al testamento, ma pur sempre riferibili al testatore, come la cultura, la mentalità e l’ambiente di vita del testatore e via dicendo.
Proseguendo, la motivazione, sul fatto chiarisce che:
Nel caso di specie non risulta che la de cuius abbia inteso disporre di tutti i propri beni, complessivamente intesi, assegnandoli, pro quota, ai richiamati quattro enti, tenuto conto che era stata fatta eccezione per l’appartamento e il terreno nel Comune di XXX e che ai quattro enti era stato destinato non il complesso dei beni immobili, esclusi quelli di Pescasseroli, ma il ricavato della vendita degli immobili oltre che dei beni mobili, al netto del pagamento delle tasse e di ogni altra spesa sostenuta dall’esecutore testamentario nell’espletamento del suo ufficio.
Ne emerge che l’errore in cui è incorso l’attore riguarda proprio la qualità giuridica di eredi attribuita agli enti convenuti, nonostante i medesimi avessero formalmente accettato (con beneficio di inventario) l’eredità e, quindi, essendo anch’essi incorsi, prima del giudizio, nell’errore di ritenersi chiamati eredi in forza di “institutio ex re certa”.
Infatti, così conclude la motivazione della sentenza in commento:
“… va escluso che i quattro enti, oggi convenuti, siano stati istituiti eredi (institutio ex re certa) e che siano da considerare successori a titolo universale della de cuius e, per quanto di interesse, siano da considerare parte venditrice dell’immobile di via YYYY n.ZZZ, già facente parte del compendio ereditario;” quindi
“va dichiarato il difetto di titolarità passiva in capo ai quattro enti convenuti in relazione alla domanda svolta dall’attore, con conseguente rigetto della domanda attrice.”
Peraltro, va sottolineato che a medesime conclusioni giungeva la soluzione del Quesito Civilistico n. 193-2014/C elaborato dalle Commissioni di studio del Consiglio Nazionale del Notariato che analizzando un caso analogo, che qualificava come legato la devoluzione del ricavato della vendita di un immobile a tre nipoti da effettuarsi a cura dell’esecutore testamentario designato dal testatore.
A cura di
Avv. Michele Mondelli e Avv. Donato Mondelli
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